Chi siamo

Osservazioni, schizzi, resoconti, pensieri imperiodici dalla stagione del centro di promozione teatrale La Soffitta e non solo. Servizi, approfondimenti e recensioni a cura del laboratorio di critica teatrale "Lo sguardo che racconta" condotto da Massimo Marino presso la Laurea Specialistica in Discipline Teatrali dell’Università degli studi di Bologna.


Direttore: Massimo Marino

Caporedattore: Serena Terranova

Redattori: Beatrice Bellini, Lorenzo Donati, Alice Fumagalli, Francesca Giuliani, Maria Cristina Sarò

Web designer: Elisa Cuciniello

Segreteria organizzativa: Valeria Bernini, Tomas Kutinjac

Hanno scritto: Valentina Arena, Stefania Baldizzone, Valeria Bernini, Elena Bruni, Alessandra Consonni, Alessandra Coretti, Elisa Cuciniello, Irene Di Chiaro, Serena Facioni, Antonio Guerrera, Sami Karbik, Tomas Kutinjač, Roberta Larosa, Nicoletta Lupia, Valentina Miceli, Paola Stella Minni, Andrea Nao, Saula Nardinocchi, Vincenzo Picone, Giusy Ripoli, Maria Pina Sestili, Giulia Tonucci

ATTENZIONE

Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna.




lunedì 23 giugno 2008

Intervista a Roberto De Lellis

Conversazione con Roberto De Lellis, curatore della rassegna D.a.N.z.A. Impronte di danza contemporanea al Teatro Testoni di Casalecchio


Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a intraprendere di questo progetto?
Io mi occupo del circuito ATER DANZA, nato con l’intento di diffondere la danza contemporanea. Uno dei scopi principali che ci siamo posti per questo progetto è quello della diffusione della conoscenza della danza contemporanea, in particolare quella italiana che è abbastanza trascurata nei giorni nostri. Un’altra motivazione è stato il desiderio di realizzare questo progetto nella città di Bologna che, suonerà paradossale, è sprovvista dal punto di vista dell’offerta della danza contemporanea. Ci sono molti generi di spettacolo che Bologna offre ma non è frequente incontrare la danza contemporanea, in particolare quella italiana. Inoltre vogliamo far conoscere gli spettacoli italiani che ci sembrano essere particolarmente significativi e degni di nota e che nella maggior parte dei casi sono stati inosservati dalla gran parte del pubblico. Abbiamo anche voluto costruire un momento pubblico attorno alle due compagnie residenti al Teatro Testoni di Casalecchio e farle conoscere meglio al pubblico locale, sostenedo il loro lavoro di ricerca che presenteranno con due spettacoli in prima assoluta.

Il titolo della rassegna è particolare. Dalla prima parte, D.a.N.z.A., risalta all’occhio l’acronimo DNA. Il sottotitolo è Impronte di danza contemporanea. Quale messaggio possiamo intercettare da questo titolo?
Con il titolo abbiamo voluto indicare una mappatura della danza contemporanea italiana attraverso alcune produzioni che in questo momento ci sembrano le più significative. Con i miei studenti del DAMS di Bologna, dove insegno “Progettazione e gestione delle attività di spettacolo”, ho lavorato su alcuni temi e motivi della rassegna. Grazie a loro è venuto fuori il tema del DNA con il carattere di tratto distintivo che ci sembrava utile per contraddistinguere i momenti significativi della danza italiana. Successivamente ci siamo resi conto che queste tre lettere sono comprese nella parola danza ed è stato più che naturale usarlo come titolo.

E’ possibile suddividere il programma in due blocchi. Al primo apparterebbero artisti già affermati e attivi da anni nel panorama della danza italiana e al secondo quelli emergenti, etichettati spesso come ‘giovani autori’. Esistono fili conduttori tematici o estetici nella scelta degli artisti?
Il primo filo che ci ha guidato è stato scegliere alcuni spettacoli di notevole qualità. Inoltre, tutti gli spettacoli che abbiamo selezionato si occupano della modernità e dell’attualità. Ad esempio lo spettacolo di Virgilio Sieni riconduce alle più grandi tragedie della storia contemporanea, dall’11 settembre alla strage di Srebrenica. Lo spettacolo di Adriana Borriello si interroga sulla religiosità facendo riferimenti alle tradizioni del Sud italiano. La compagnia Tardito/Rendina ci offre una visione dell’uomo contemporaneo attraverso una chiave ironica, circense. Invece Caterina Sagna ci propone una full immersion nella vita quotidiana di tre individui e il loro conflitto. Nel secondo blocco abbiamo due giovani coreografe, Simona Bertozzi e Marina Giovannini, entrambi premiate diverse volte, e le due compagnie residenti al Teatro Testoni di Casalecchio, Le Supplici e Traversidanza.

Questo tipo di rassegna, come abbiamo accennato, è una novità per Casalecchio ma anche per Bologna. Quale riscontro possiamo aspettarci dal pubblico di queste parti?
Bisogna prendere in considerazione che è la prima volta che facciamo questo progetto. Lo scopriremo vivendo. L’obiettivo che ci auguriamo di realizzare è portare la danza contemporanea italiana al più vasto pubblico possibile. Quindi non solo agli appassionati di danza o gente del settore ma anche a quelli che potrebbero essere attratti dalla concentrazione così elevata di quantità di spettacoli in un’unica settimana. I prezzi dei biglietti sono abbastanza accessibili e sono presenti anche abbonamenti convenienti. Inoltre, dopo gli spettacoli saranno organizzati incontri tra artisti e pubblico come ulteriori momenti di approfondimento. Oltre a un’osservatorio critico che seguirà tutta la rassegna con recensioni e interviste agli artisti, pubblicati online e in forma cartacea, il 17 maggio sarà organizzato un convegno sulla formazione del pubblico con l’intento di facilitare, appunto, l’incontro con gli spettatori.

Tomas Kutinjač


Intervista a Adriana Borriello

Una chiacchierata con Adriana Borriello, coreografa e danzatrice nello spettacolo Chi è devoto


Lo spettacolo pone una domanda: “dove stiamo andando?”. E offre subito una risposta: “sempre verso casa”.
Venendo dall’esperienza della danza mitteleuropea, mi sono orientata verso ricerche antropologiche, in particolare verso le tradizioni popolari italiane. Questà curiosità è stata provocata dalla domanda che mi pongo costantemente: che senso ha fare questo lavoro oggi? Dall’altra parte, tornare verso casa è inteso come riscoperta di radici della danza. Ho cominciato a ricercare l’etnocoreologia studiando i riti di tutto il mondo. Le analogie che ho scoperto nei meccanismi rituali di diversa provenienza, mi hanno portato verso casa. Ho lasciato Avellino a quattordici anni. Verso casa è quindi tornare verso le proprie radici, verso l’intimità.

Il tuo lavoro si basa, sintetizzando, sullo studio del rapporto tra movimento e musica.
L’inizio del mio percorso è stato sicuramente dedicato allo studio del rapporto danza-musica. Come interprete riconoscevo subito un’identità tra i due linguaggi. Più tardi la ricerca si è ovviamente ampliata, approfondita. Nel momento in cui ho aderito alla ricerca etnocoreologica ed etnomusicologica, mi sono sorte domande filosofiche oltre alla danza. Ho abbracciato sfere che appartengono al quotidiano, alla vita intesa come flusso analogamente al movimento, al suono e alla coreografia come modalità di organizzazione di un flusso continuo. A quel punto per me era ovvia la relazione tra corpo e suono come identità. Questa ricerca è partita a metà degli anni novanta e nel ‘97 abbiamo prodotto la trilogia Tammorra, Kyrie e Animarrovescio insieme a Francesco De Melis, lo stesso compositore di Chi è devoto.

Che rapporto ce tra musica e corpo in Chi è devoto?
In questo caso i due linguaggi sono un tutt’uno. Nell’idea di devozione ce l’idea di offerta di se a tutti livelli. Questo non e necessariamente legato al concetto di religione ma è un modo di relazionarsi alla vita. In questo senso il corpo è suono, in quanto vibrazione, in quanto un modo di relazionarsi con l’altro. Oggi non ricordiamo più che nelle culture arcaiche non si trattava solo della comunicazione tra esseri umani ma anche con l’universo, con tutto quello che può essere riconosciuto al livello vibratorio. Questo attiene al corpo quanto al suono.

In quale misura sono presenti il rito e la tradizione?
La tradizione italiana meridionale è presente in quanto pretesto culturale e in quanto specifica della relazione tra il paganesimo e la religione. Scavando nei riti devozionali dell’Italia meridionale, sono rimasta stupita profondamente dal cognugamento tra l’aspetto erotico pagano e l’aspetto castigato cattolico. Nelle ricerche che ho fatto sul campo e attraverso i libri ho scoperto che ce stato un periodo nel quale la chiesa ha cercato di sopprimere gli aspetti pagani dei riti popolari. Ma non ci è riuscita perchè questi erano troppo radicati nel popolo. Allora li ha contenuti, debellati, come ha fatto con il tarantismo abbinandolo al culto di S. Paolo, relegandolo in certi giorni dell’anno in modo da controllarlo. Quindi nonostante tutto, l’Italia ha mantenuto l’identità pagana. Inoltre, il taglio dello spettacolo è estremamente rituale, ovvero ricalca la struttura formale del rito. Il lavoro è impostato come una lunga processione divisa in stazioni. Con gli interpreti è stato un lavoro di spogliazione di stili, personali e culturali condivisi, con l’obbiettivo di giungere a una dimensione intima con il movimento. Si trattava di ricongiungersi al movimento organico, nel senso puro del termine, che è il fondamanto del movimento nei riti. Quindi un attitudine rituale verso il proprio corpo. Ce una struttura formale coreografica scritta che ogni volta viene rivissuta, riattualizzata.

Lo spettacolo è composto da frammenti o quadri visivi. Si tratta di stazioni della processione di cui hai parlato prima?
Esatto. In tal senso si possono riconoscere dei quadri ma in un flusso continuo. Ce un filo logico non narrativo ma sicuramente evocativo. Con noi in scena ce Giovanni Coffarelli, contadino e venditore ambulante vesuviano nel quale gli etnomusicologi riconoscono l’ultimo esempio vivente dei stilemi arcaici del canto popolare campano. Giovanni è stato presente quasi in ogni tappa del mio percorso antropologico. Lui è il vero devoto, veramente imbevuto in quel contesto, portatore dell’autenticità di quel universo. É uno dei personaggi principali dello spettacolo, oltre a due madonne e sei personaggi che rappresentano l’umanità in oscillazione tra la tensione verso il divino e quella verso gli inferi.

Tomas Kutinjač

Intervista a Caterina Sagna

Conversazione con Caterina Sagna, autrice dello spettacolo Basso Ostinato


La sua compagnia è fissa in Francia, a Rennes, da tre anni....
Da una ventina di anni la compagnia si sposta continuamente tra Francia e Italia. Lungo tutti questi anni gli apporti alla compagnia vengono maggiormente dalla Francia. É il posto dove senzaltro il nostro lavoro è più seguito e aiutato quindi ho deciso di trasferirla in residenza a Rennes. Amministrativamente è più conveniente, ma artisticamente non cambia molto.

Come nasce lo spettacolo Basso ostinato?
Basso ostinato, in termini musicali, è una variazione di basso continuo. É la combinazione melodica e ritmica affidata alla parte più bassa di una composizione, che si ripete incessantemente dal principio alla fine del pezzo, sul quale le altre parti, strumentali e vocali possono liberamente muoversi. Il nostro ‘basso ostinato’, la cellula che si ripete durante tutto lo spettacolo, non è musicale ma è una situazione quotidiana. Si tratta di tre danzatori che chiacchierano alla fine del pasto prendendo un digestivo. Questo nasce dall’improvvisazione che abbiamo tenuto come punto di riferimento per tutto lo spettacolo. É un dialogo fatuo, divertente, niente di eccezionale; come quando si beve un pò e si chiacchiera. Questa situazione riaccade diverse volte e contiene in sé tutti gli elementi che vengono sviluppati nel corso dello spettacolo. I movimenti, le coreografie, le danze, gli spostamenti nello spazio sono uno sviluppo dei movimenti contenuti nel dialogo iniziale. Movimenti assolutamente quotidiani che tutti noi facciamo quando si chiacchiera. C’è un’alterazione continua sia del dialogo che dei movimenti che compongono la prima scena e la loro decomposizione, nel senso dell’andare verso una marcescenza di tutto. Per cui c’è una sorta di scivolamento verso il basso (da qui l’ispirazione per il titolo) come interesse verso gli aspetti bassi, residuali della realtà che ci riguarda. É una sorta di discesa in profondità che va attraverso aspetti più deteriori. Nel corso dello spettacolo ci si rocollega con la digestione contenuta nel dialogo iniziale: loro ingeriscono qualcosa per digerire qualcosa. I personaggi possono essere letti alla fine come digeriti dalla scena, interni a un processo di digestione e decomposizione.

Tutto succede intorno a un tavolo. In cosa consiste il vostro lavoro sullo spazio?
Il tavolo nel Basso ostinato è un ingombro, quasi un quarto elemento. La relazione con esso è contunua e ripetuta. Nonostante sia immobile, ha una sua storia parallela a quella degli interpreti ed è un punto di riferimento continuo dal quale e al quale parte e ritorna il movimento. É come un fulcro d’attrazione, una calamita, in ogni caso un elemento drammaturgicamente vivo. Lo spazio circostante viene preso quando si tenta di allontanarsi dal tavolo. Nel corso del lavoro abbiamo cercato di dare vita al tavolo per cui esso respinge o attira i personaggi. La presa dello spazio scenico è ‘giustificata’ da una drammaturgia che include anche lo sviluppo della storia di questo tavolo.

Nello spettacolo è presente anche la parola come modo di espressione...
Esatto. Durante lo spettacolo anche la parola si disfa, perde il significato, viene alterata, trattata sia come testo verbale o in maniera più musicale. Direi che non è uno spettacolo astratto nel senso che le situazioni sono molto riconoscibili. Il montaggio non è assolutamente narrativo. La concretezza delle situazioni rende possibile immedesimarsi in quello che si vede e riconoscere qualcosa di personale, entrare nello spettacolo.

Tomas Kutinjač

Danza sopra l’abisso

Kauma, un episodio del proggetto triennale di Fabrizio Favale


Cinque corpi che danzano, alternandosi in frammenti visivi che appaiono e scompaiono come flash back di un subconscio inquietante. Del Mahabharata Favale ha giustamente rifiutato di narrare le vicende, che sarebbe stato più che inutile; ha cercato di far percepire la lontananza di un orizzonte preciso, ovvero l’epicità discorsiva che il poema suggerisce. Per non cadere nell’abisso epico, il coreografo doveva aggrapparsi a qualcosa e lo ha fatto contando interamente sul corpo in movimento. Tutto accade sul e nel corpo del danzatore. Ma questo linguaggio, astratto già di per se, ha provocato nello spettatore un effetto di irritazione. I corpi danzanti di Kauma tramandano un’energia purtroppo centripeta, in modo da non far percepire la relazione fra essi e il mondo circostante. Se avessero collaborato col poema indiano nella sua eco centrifuga, sarebbe stato più chiaro in quale contesto operavano i corpi. Lasciare un esagerato spazio allo spettatore per ricrearsi un suo possibile percorso di interpretazione è un segno di poca responsabilità artistica. La danza che gira intorno a se stessa, schiava della sua autoreferenzialità, non può non provocare il desiderio di vedere oltre i movimenti fine a se stessi. E così le coreografie di Favale sono state inghiottite dal loro stesso abisso lasciando lo spettatore perplesso e pieno di dubbi.

Tomas Kutinjač

Impronte di danza contemporanea italiana

D.a.N.z.A. , rassegna al Teatro Testoni di Casalecchio dal 09 al 18 maggio 2008
“Uno dei scopi principali che ci siamo posti è quello della diffusione della conoscenza della danza contemporanea, in particolare quella italiana che è abbastanza trascurata nei giorni nostri.” Spiega così Roberto De Lellis, curatore del progetto, una delle motivazioni base del progetto. Dal 09 al 18 maggio al Teatro Testoni di Casalecchio il pubblico emiliano-romagnolo ha la possibilità di seguire nell’arco di una settimana e mezzo una densa rassegna delle più significative produzioni di danza contemporanea italiana del momento. Il filo tematico della rassegna è il contatto tra la contemporaneità e il corpo, diventato oggi una delle ossessioni della nostra cultura, sempre più martoriato, esposto e violentato. La danza, più di tante altre arti, si dimostra capace di leggere e di vivere queste incertezze. Il cartellone è composto da svariati artisti attivi nel panorama italiano e all’estero che presenteranno le loro ultime ricerche diventate spettacolo. É inevitabile sottolineare subito la presenza di uno dei maggiori esponenti della danza italiana come Virgilio Sieni. Premiatissimo coreografo fiorentino, alla ricerca di un gesto etico e politico dalla bellezza impossibile e paradossale, presenterà in questa occasione Sonate Bach, spettacolo che evoca undici date emblematiche della storia contemporanea, dall’11 settembre alle stragi di Srebrenica, Baghdad, Kabul, raccolte intorno a undici brani che compongono le 3 Sonate di J.S.Bach. Adriana Borriello, cofondatrice insieme a Anne Teresa De Keersmaeker del gruppo Rosas residente in Belgio, concentra da sempre la sua ricerca intorno alla musicalità prodotta dal movimento, spesso toccando le sue radici squisitamente rituali e folkloriche. Alla rassegna di Casalecchio, la coreografa e danzatrice presenterà Chi è devoto, interrogandosi sulla religiosità nell’età odierna facendo riferimenti alle tradizioni del Sud Italia. La compagnia Tardito/Rendina, con lo spettacolo Circhio Lume, ci propone un’espolarazione dell’uomo attuale attraverso una chiave ironica, circense, clownesca. Caterina Sagna, coreografa e danzatrice dal talento innegabile, formata con Anna Sagna e Carolyn Carlson e attualmente residente con la propria compagnia a Rennes in Francia, propone quest’anno a Casalecchio Basso Ostinato, spettacolo che cerca di illustrare la vita quotidiana di tre individui e i loro conflitti interni-esterni intorno a un tavolo da pranzo. Il resto del programma e composto da compagnie emergenti nel panorama della danza italiana. Penso in primo luogo a Simona Bertozzi, vincitrice con L’ENDROIT 2e del premio Giovani Danz’Autori 2006-2007, e Marina Giovannini che presenterà Studi per luogo comune, spettacolo vincitore del Premio Equilibrio Roma 2008. Inoltre, il pubblico locale avrà l’opportunità di conoscere le ultime ricerche delle due compagnie residenti al Testoni di Casalecchio, Le Supplici/Fabrizio Favale e Traversidanza che presenteranno i loro lavori in prima assoluta. Come ulteriori momenti di approfondimento sugli spettacoli e sulla poetica dei coreografi, dopo gli spettacoli saranno organizzati incontri tra artisti e spettatori che avranno modo di conoscere più a fondo l’arte più effimera che esiste, la danza contemporanea. Inoltre, il 17 maggio al Testoni sarà organizzato un convegno sulla formazione del pubblico. ERT Fondazione in collaborazione con ATER DANZA hanno preparato questo progetto, poco consueto per le nostre parti, con l’intento di portare a Casalecchio e a Bologna uno sguardo sulla contemporaneità. “Ci auguriamo di realizzare e portare la danza contemporanea italiana al più vasto pubblico possibile. Quindi non solo agli appassionati di danza o gente del settore ma anche a quelli che potrebbero essere attratti dalla concentrazione così elevata di quantità di spettacoli in un’unica settimana”, spiega De Lellis. L’obiettivo è quindi ritrovare un nuovo spettatore da sensibilizzare al DNA dell’attuale danza contemporanea italiana che sui nostri territori sembra nascosto e poco osservato ma ben presente con solide ricerche spesso più acclamate all’estero. Per il dettagliato programma invitiamo alla lettura del sito http://www.teatrocasalecchio.it/, mentre per approfondimenti su ogni evento della rassegna troverete il nostro giornale quotidiano presso il teatro, oltre che sullo stesso sito in forma pdf.

Tomas Kutinjač

lunedì 16 giugno 2008

Silvia Traversi e la "meraviglia dei corpi in movimento sotto la luce teatrale"

Sinfonia, di SILVIA TRAVERSI al Teatro Testoni

La rassegna D.a.N.z.A. Impronte di danza contemporanea del Teatro Testoni di Casalecchio si è chiusa domenica 18 maggio con lo spettacolo Sinfonia, firmato dalla coreografa Silvia Traversi. Con l'ultimo spettacolo si è realizzato l’obiettivo del curatore della rassegna di dare visibilità alle due giovani compagnie in residenza artistica presso il teatro casalecchiese, accanto a Fabrizio Favale/Le Supplici. Grande afflusso di pubblico, calorosi applausi. Nonostante il calore dell'accoglienza, l’occhio critico si distacca da tutto ciò e rifflette. Vediamo cosa sia accaduto sul palcoscenico quella domenica sera di pioggia. Lo spettacolo verte intorno alla seconda sinfonia del grande musicista tedesco Schumann. Ascoltando la musica, Traversi ha lasciato libero il suo flusso immaginativo e lo ha messo in scena. Sette danzatori impegnati in duetti, assoli, danze collettive, raccontano le solitudini, l'emarginazione sociale, le inquietudini amorose. Il terzo elemento scenico, forse, ma in rari momenti, il più convincente, erano le proiezioni video animate sulla parete di fondo. Il contrasto sul quale la Traversi ha voluto lavorare era tra la perfezione ‘geometrica’ delle proiezioni e il corpo umano con le sue manchevolezze. Come ha confessato all'incontro successivo allo spettacolo, l'idea era di interpretare le note di Schumann in chiave quotidiana, servendosi spesso di soluzioni ironiche, guidata dalla solenne “meraviglia dei corpi in movimento bagnati dalla luce teatrale”. Purtroppo, il risultato complessivo era soltanto l’effetto di un patchwork, di un prodotto confezionato senza alcuna impressione di una particolare urgenza creativa dell'autrice. Ogni movimento di Sinfonia mancava d'originalità: un clichè dopo l’altro che respingevano la nostra volontà di credere in quello che vedevamo. Qualcuno diceva che riconosceva momenti di Pina Bausch, altri di Martha Graham... Quel che sia, i quadri danzati non erano altro che immagini ripescati dalla memoria immaginativa della Traversi ancorata alla danza classica o, eventualmente, moderna. Non si condanna a priori la predisposizione a mischiare diverse tecniche di movimento ma ci si aspetta come minimo una originale analisi e combinazione di esse. La musica di Schumann, così potente e totemica, confermava paradossalmente la banalità delle azioni, la debolezza dell’aspetto drammaturgico. Mi chiedo fino a quando la giovane danza bolognese, e non solo, continuerà a scarseggiare con la fiducia in se stessa in modo sincero, cosciente e analitico, al corrente con le dinamiche di ricerca contemporanea e, più importante, con le esigenze del proprio pubblico. Credo che si potrebbe trarre un grande beneficio se i suoi coreografi iniziassero a collaborare con eventuali drammaturghi per consolidare, decidere, problematizzare un messaggio (non necessariamente narrativo) schietto e attuale, permettendosi un dialogo critico con il pubblico.

Tomas Kutinjač

venerdì 9 maggio 2008

Intervista con Stefano Masotti

La “Casa dei Risvegli Luca de Nigris” è un centro riabilitativo d’eccellenza inaugurato a Bologna nel 2004, il primo in Italia per la cura di pazienti con esiti di coma. Parte integrante del progetto sperimentale è la pratica teatrale, usata come strumento terapeutico, riabilitativo e sociale.
Ne parliamo con Stefano Masotti, regista della compagnia teatrale “Gli Amici di Luca”.


Come nasce e come si sviluppa il rapporto tra la Casa dei Risvegli e la compagnia?
Entrambe le realtà nascono da una vicenda personale che è la storia di Luca e dalla reazione alla sua morte dei genitori, Fulvio De Nigris e Maria Vaccai. Dopo la sua morte infatti è sorta l’associazione “Gli Amici di Luca”, la cui iniziativa aveva come primo obiettivo quello di costruire il centro che a Luca era mancato. Prima che fosse fisicamente inaugurata la Casa dei Risvegli, l’associazione aveva scelto di utilizzare il teatro come opportunità di creazione di momenti di partecipazione e di reinserimento sociale. L’esperienza laboratoriale del 2003 ha così portato alla formazione di una compagnia teatrale, che ha ora sede all’interno della Casa.

Qual è il tipo di disagio di cui vi occupate e quali sono le vostre modalità di approccio nei confronti del paziente?
Da un lato realizziamo un intervento in situazione terapeutica, con persone ancore ospedalizzate, cioè pazienti ospiti della Casa: questo è un intervento clinico sul singolo. La Casa dei Risvegli è un centro per pazienti in stato di coma post-acuta, ossia in una condizione clinica detta “stato di minima coscienza” o “di minima reattività”. Noi interveniamo quando le condizioni cliniche sono stabili e utilizziamo il teatro per cercare di ottenere gli stessi risultati delle figure sanitarie, perseguendo l’obiettivo del recupero funzionale dei soggetti in uscita dal coma. Dall’altro realizziamo un intervento di tipo sociale: i ragazzi della compagnia hanno infatti già terminato la fase di riabilitazione ufficiale. Sono quindi due modalità di approccio differenti perché è diversa l’utenza. Il lavoro con la compagnia ci ha permesso di constatare nel tempo risultati molti positivi. Attraverso un questionario che mirava a verificare l’impatto effettivo dell’intervento teatrale sulla percezione che i ragazzi avevano di loro stessi, abbiamo potuto valutare scientificamente cambiamenti radicali, sia rispetto alla modificazione della percezione del sé, sia rispetto al recupero di alcune attività funzionali come il linguaggio, l’equilibrio, la deambulazione e la memoria.

Da chi parte la proposta di utilizzo del teatro?
Prima che esistesse la Casa dei Risvegli, l’associazione dava sostegno a diverse famiglie nel territorio bolognese. “Gli Amici di Luca” avevano proposto l’esperienza teatrale ai soggetti che conoscevano e che nel tempo avevano seguito. Da quando esiste la Casa dei Risvegli, il teatro è un’opportunità di comunicazione e di reinserimento sociale proposta a tutti i soggetti in uscita che offre loro una continuità nel percorso riabilitativo.

In riferimento al lavoro della compagnia, prevale un uso terapeutico o artistico del teatro?
Teatro e terapia sono concetti antinomici. Per parlare di un impatto terapeutico del teatro occorrerebbe prima di tutto valutarne i risultati effettivi: dire a priori che il teatro è terapeutico è voler fare demagogia. Detto ciò, noi abbiamo sicuramente l’obbligo prioritario di considerare il soggetto con uno sguardo riabilitativo, proprio per il fatto che iniziamo il nostro intervento in un contesto in cui la dimensione clinica è quella a cui dobbiamo porre attenzione. Allo stesso tempo, per il lavoro con la compagnia non possiamo più parlare di intervento clinico, ma artistico. Quindi tentiamo di far coesistere le due cose: certo non è sempre facile creare spettacoli belli, ma non potremmo mai sottovalutare l’aspetto terapeutico in favore di quello artistico. Davanti al “disagio” credo si debba partire necessariamente dalle persone con le quali si ha a che fare: non si tratta di un teatro dell’attore, ma delle persone. Il problema maggiore in quest’ambito è dato dal fatto che generalmente si approcciano al disagio gli specialisti del teatro, che vogliono portare in scena un loro progetto artistico, indipendentemente dall’esigenza e dall’essere del soggetto/paziente/attore.

Qual è la poetica della compagnia?
Negli anni abbiamo sviluppato una poetica nostra: alla base c’è sempre un atteggiamento che parte dalle potenzialità degli individui.



Stefania Baldizzone e Paola Stella Minni